EMDR e trauma: rielaborare il passato per vivere il presente

EMDR e trauma: rielaborare il passato per vivere il presente

Il trauma nella memoria: quando il passato non passa

Le esperienze traumatiche hanno una caratteristica particolare: non finiscono quando l’evento si conclude. Anche a distanza di anni o decenni, possono rimanere “intrappolate” nella memoria come se stessero ancora accadendo. Questo accade perché il trauma viene codificato nella memoria in modo disfunzionale, soprattutto se non viene elaborato.

Numerosi studi dimostrano che il trauma attiva in modo persistente il sistema limbico, l’area cerebrale deputata alla regolazione delle emozioni (Van der Kolk, 2014). In particolare, strutture come l’amigdala, il talamo e l’ippocampo conservano la traccia sensoriale ed emotiva dell’esperienza, rendendo i ricordi traumatici particolarmente vividi e intrusivi. Anche in condizioni di apparente sicurezza, basta un trigger – un odore, un suono, un’immagine – per riattivare la memoria emotiva negativa, provocando ansia, panico o reazioni dissociative (Brewin, Gregory, Lipton & Burgess, 2010).

Secondo il modello della memoria implicita, ciò che ci turba non è tanto l’evento in sé, ma il modo in cui è stato registrato: caotico, privo di significato, immutabile. Il trauma non elaborato crea connessioni neurali stabili, rendendo i ricordi emotivi tenaci e persistenti nel tempo (Teicher et al., 2003). È per questo che alcune esperienze possono continuare a influenzare la nostra autostima, il nostro comportamento e le nostre relazioni, anche quando non ce ne rendiamo conto.

EMDR: riattivare il processo naturale di guarigione

L’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è una terapia psicologica sviluppata da Francine Shapiro negli anni ‘80. Il suo principio di base è semplice ma rivoluzionario: il cervello ha una capacità innata di elaborare le esperienze traumatiche, ma in situazioni di forte stress questo processo può interrompersi. L’EMDR riattiva questa funzione bloccata.

Durante la seduta, il paziente si concentra su un ricordo traumatico e, contemporaneamente, riceve una stimolazione bilaterale (movimenti oculari, tapping alternato o suoni), che richiama il funzionamento della fase REM del sonno. Questa stimolazione permette al cervello di “rimettere in moto” il processo di elaborazione e riorganizzazione dell’informazione (Shapiro, 2001).

Il ricordo traumatico non viene cancellato, ma rielaborato: perde la sua carica emotiva negativa e si integra in modo più funzionale nella memoria autobiografica. Le credenze disfunzionali (es. “sono debole”, “non valgo nulla”) vengono ristrutturate in pensieri più realistici e adattivi. Le emozioni si regolano e le sensazioni corporee disturbanti si attenuano.

Le prove scientifiche dell’efficacia dell’EMDR

L’efficacia dell’EMDR è supportata da una vasta letteratura scientifica. Secondo una meta-analisi pubblicata su The Lancet Psychiatry (Bisson et al., 2013), l’EMDR è uno dei trattamenti più efficaci per il PTSD, comparabile alla terapia cognitivo-comportamentale.

Gli studi di neuroimaging hanno evidenziato cambiamenti funzionali nel cervello dopo l’EMDR: diminuzione dell’attività dell’amigdala, maggiore attivazione della corteccia prefrontale e riorganizzazione delle connessioni neurali coinvolte nell’elaborazione del ricordo (Pagani et al., 2012). Inoltre, recenti ricerche suggeriscono che la terapia EMDR può persino indurre cambiamenti epigenetici positivi, influenzando l’espressione genica correlata alla regolazione dello stress (Bergmann, 2010).

ll trauma non elaborato può lasciare un segno profondo nella mente, ma non è una condanna definitiva. L’EMDR offre una via per riorganizzare il ricordo traumatico, ridurne l’impatto e recuperare benessere e funzionalità.

Questo processo porta a una trasformazione profonda del modo in cui il trauma è immagazzinato: da elemento di sofferenza incontrollabile, diventa un ricordo contestualizzato e assimilato nella storia personale del paziente.

Come ha affermato Francine Shapiro:

“Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo cambiare il modo in cui il passato vive dentro di noi.”

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